venerdì 6 gennaio 2012

apprendimento esperienziale

Il dramma parallelo che agita il racconto della vita di Nangsa Obum (qui la prima parte) consiste nella consapevolezza di esser nata per qualcosa che si può manifestare solo attraverso la pratica del Dharma e che è di fatto ostacolato dagli eventi che si verificano nella sua vita molto spesso per il solo fatto di appartenere a una civiltà in cui, in quanto donna, era possibile solo adeguarsi e obbedire alle convenzioni, ai ruoli che pongono sulla persona le vesti della sudditanza senza nessuna autonomia di azione o anche solo di pensiero.

Incontri e apparizioni casuali la guidano nella sua testarda ostinazione della ricerca di esaudire e realizzare se stessa pienamente anche a discapito di ciò a cui è legata e di quelli che le vogliono bene, ma la considerano pazza o quanto meno ribelle e indomita e quindi la rifiutano o ne rifiutano proprio quell'essenza che per lei è così importante trovare così da riuscire a sentirsi pienamente sè.

La sua urgenza prepotente del bisogno di vivere secondo la sua ispirazione è ben espressa in questa canzone che la dakini offre alle amiche e che sintetizzo censurando il ritornello filo_religioso che a me poco interessa.

Ascoltatemi ancora care amiche,
Il prezioso corpo umano è difficile da ottenere.
C'è un gran pericolo di cadere nei regni più bassi.
La vita è breve come un lampo tra le nuvole.
La nostra vita è come una goccia d'acqua in mezzo all'erba;
Un po' di calore basta a farla evaporare.
La vita è come un'arcobaleno sull'erba,
Anche se è bello,
Non ha valore reale.
La nostra vita è lunga come quella della pecora di un macellaio.
Siamo destinati alla morte.
La vita è come il sole al tramonto,
Sembra forte e bello,
Ma prima che tu te ne accorga, è già sparito.
La vita è come il volo dell'aquila,
Ora c'è, ma in un attimo non c'è più.
La vita è come una cascata che cade da un'alta montagna,
Anche se fa un gran rumore,
Dura un attimo soltanto. Continui per la tua strada e non c'è più.
La vita è come il cibo del mendicante,
Anche se al mattino è abbondante,
Per la sera è finito.
La vita è come  la gente che cammina per strada,
Per un momento la vediamo, ma in un attimo sparisce.
La vita è come un lampo,
Il vento ci soffia su e non si ferma in nessun posto.
La vita è come un bel viso,
Quando siamo giovani resta con noi,
Ma quando diventiamo vecchi diventa orribile.


E ancora, alle suppliche materne, lei risponde:

Madre premurosa, ascoltami!
Il sole splende ai quattro angoli dell'universo.
Quando il sole smetterà di splendere, io smetterò di voler praticare il Dharma e me ne starò a casa.
Se la luna smetterà di crescere e di calare,
Io resterò a casa.
Se il fiore di loto smetterà di sbocciare d'estate
E di appassire d'inverno,
Io me ne resterò a casa.
Se il fiume si fermerà e invertirà il suo corso,
Io resterò a casa.
Se il fuoco smetterà di ardere e si consumerà,
Resterò a casa.
Quando le bandiere sacre sulla montagna smetteranno di sventolare,
Resterò a casa.
Dopo la nascita c'è sempre la morte.
Se non è vero, 
Resterò a casa.
Tu ora sei vecchia.
Se ridiventi giovane, 
Io resterò a casa.


Lo scontro a tutto campo con la famiglia di origine e la propria è greve e violenta nelle parole dei suoi oppositori e ogni volta lei  prende spunto dalle loro parole per ribadire la sua determinazione rassegnata e obbligata a una coerenza verso una se stessa di cui ha solo una vaga percezione sorretta da un'innata ispirazione e radicata certezza.

Nel suo caso ovvio si parla di fede, sebbene molto differente da quella a cui ci hanno abituato qui in Occidente, ma pur sempre di fede si tratta.
Al contrario il mio interesse è per il processo evolutivo che in questa donna, più ancora che nelle altre del libro, ha condotto e guidato la protagonista lungo tutto il corso della sua vita e il fatto che lei abbia avuto la capacità di scorgerlo e il coraggio di seguirlo benchè sconosciuto e inspiegabile anche a se stessa oltre che agli altri.

Ovviamente ho considerato la possibilità che lei abbia in qualche modo autoindotto gli eventi o si sia condizionata a seguire la sua utopia per "principio", ma è pur vero che ciò avviene e sarebbe comunque avvenuto allora come anche adesso.

Ogni azione e ogni processo è influenzato dal nostro bagaglio, anche quando decidiamo di farne a meno.
Ma tra tutte le possibili interpretazioni che è possibile dare alla propria esistenza, al momento per me stessa trovo che le meno ancorate al possesso e all'attaccamento siano le meglio corrispondenti a ciò a cui ancora sto cercando di arrivare e di cui ho solo un vago sentore sebbene, come nel caso di Nangsa Obum, molto marcato.

Vago e marcato. E' quello che mi viene per definire questo aspetto della cosiddetta consapevolezza, ovvero quel tratto, o quell'orma che quando la ricalchi invece di rimarcarla la sfochi rendendola irriconoscibile e inservibile da quanto è vaga.

E così via andare di orma in orma.
Difficile, veramente difficile dire con sintesi della storia che ha ispirato l'evolversi di un racconto che infatti richiedeva tre giorni per essere messo in scena.

Formatori ante litteram, nel senso di full immersion, apprendimento esperienziale, sensorialmente basato, praticato e poi narrato, come penso dovrebbe essere la scrittura.

Introduzione e indice



2 commenti:

  1. è vero che essere ancorati al possesso è un limite, ma è vero anche che quasi tutti lo fanno perchè non hanno altro a cui ancorarsi. lo dico perchè è la spiegazione che do alla cosa, non perchè lo trovi giusto.

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  2. GUCHI
    ciao, grazie, scusa in questi giorni sono di poche parole.

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