LA SINDROME DI CHERI' Post n°64 pubblicato il 27 Settembre 2010 da teti900 Tag: Cherì, Margherite Duras, Sidonie-Gabrielle Colette, Stefen Vizinczey
.
Chéri è uno dei capolavori di Colette, il primo di quei suoi grandi libri che l'hanno resa, come è stato scritto, «celebre se non immortale»: stupendo ritratto di un'epoca e di un ambiente, sottilissima e spietata indagine psicologica, questo romanzo scava e fruga con crudele lucidità nelle pieghe più riposte di una passione «impossibile» e «scandalosa» tra una donna matura e un ragazzo troppo bello, giovane e viziato; una passione sulla quale aleggiano, sempre più visibili e minacciosi, i fantasmi della solitudine, della tristezza, della sconfitta, della vecchiaia. La rappresentazione beffarda di un certo ambiente mondano, la sofisticata analisi dell'animo femminile, il fascino crudele della seduzione, l'ironica tristezza della scrittrice fanno di Chéri una delle opere più intriganti e più famose di Colette.
Sidonie-Gabrielle Colette (1873-1954) compose la sua finta autobiografia scrivendo romanzi come se si trattasse di vita. In La nascita del giorno scioglie ogni curiosità dicendo: "E voi credete, leggendomi, che io faccia il mio ritratto? Piano: è soltanto il mio modello".
.
.
«Poco dopo giacevano nel gran letto di ferro battuto e bronzo. Chéri languido, fingeva di aver sonno, per poter stringere i denti, chiudere gli occhi, preso da un furore di mutismo. Ma lei, lei lo ascoltava egualmente, sdraiata contro di lui, ascoltava con voluttà la lieve vibrazione, il tumulto lontano e quasi prigioniero di un corpo che vuol negare la sua angoscia, la sua gratitudine, il suo amore.»
Con la protervia della bellezza giovane, Chéri, ragazzo «coi capelli dai riflessi blu come le penne dei merli», irrompe nella vita di Léa, donna leggera e sapiente - ma nel triangolo amoroso apparirà il rivale più temibile: il Tempo, corruttore di corpi.
Chéri che giunto all'acme della sua esistenza di 'bello' dinanzi a cui le donne si inchinano «Non distingueva i punti precisi in cui il tempo, con tocchi impercettibili, segna su un viso l'ora della perfezione e poi quella di una bellezza più evidente, che annuncia già la maestà di un declino».
Léa, dove il sentimento è delicatamente avvolto nella fisiologia e brama di sprofondare «in quell'abisso da cui l'amore risale pallido, taciturno e pieno del rimpianto della morte». .
.
Tutti dovremo avere un'amante come Léa nella nostra vita. Una donna dalla vita forse disordinata, ma dall'apparenza perfetta sotto ogni aspetto. Scaltra, con esperienze su tutti i fronti, ancora piacente, seducente eppure dominante, romantica eppure distaccata. Colette l'aveva capito già da tempo e, in questo romanzo, questa scrittrice francese dalla penna piena di brio mette per iscritto questo pensiero in una storia che si snoda in tre semplici, ma splendidi capitoli, saturi dell'irriverenza e dell'enfasi degli sconvolgenti e frenetici Anni Venti, per spiegare che certi inconfessati godimenti della carne e dello spirito possono essere ancora euforici anche a mezzo secolo di vita. Il vero scandalo è nell'argomento (oggi largamente ritenuto poco scottante) che, allora, era ancora un vero e proprio tabù: la relazione fra una donna più matura e un ragazzo giovane.
Come hanno già scritto altre penne, Léa c'è anche quando non c'è. Ed è proprio qui che sta l'abilità di Colette che "mettendo in carta" la pesante mancanza della protagonista, che si isola dal mondo di cui fa parte rintanandosi lontano, per salvare la propria faccia dalle malelingue e dalla commiserazione altrui, parallelamente carica e rigonfia le pagine della sua invasiva presenza: "una luce confusa cominciava a rivelargli che purezza e solitudine sono un'unica e identica infelicità".
.
.
Simmetricamente inversa a questa di Colette, L'amante di Margherite Duras, storia d'amore di un'adolescente francese con un giovane miliardario cinese, nell'Indocina degli anni trenta. Narrata in prima persona, in forma quasi diaristica, la storia si snoda tra gli ostacoli opposti dalle rispettive situazioni familiari dei due protagonisti. La ragazza è assuefatta al silenzio dal suo rapporto col fratello maggiore e con la madre, che hanno eretto una barriera d'indifferenza a tutela della loro complicità.
“Anni e anni dopo la guerra, dopo i matrimoni, i figli, i divorzi, i libri, era venuto a Parigi con la moglie. Le aveva telefonato. Sono io. Lei l’aveva riconosciuto dalla voce. Le aveva detto, volevo solo sentire la tua voce. Lei aveva detto, ciao, sono io. Era intimidito, aveva paura come prima, la voce improvvisamente gli tremava e in quel tremito, improvvisamente, lei aveva ritrovato l’accento cinese. ... E poi sembrava che non avesse altro da dire. Ma poi glielo aveva detto. Le aveva detto che era come prima, che l’amava ancora, che non avrebbe mai potuto smettere d’amarla, che l’avrebbe amata fino alla morte.” [p. 123]
.
.
Ma torniamo a "Chéri" di Colette: ritratto di una disillusione
"D'ora in poi occuperò soltando mezzo posto dappertutto", si dice Lèa tirando lunghe somme colme di lucidissime riflessioni. "Gli anni dell'amore sono finiti"
Léa sa di essersi concessa troppo a questo ragazzo, sa che sei anni sono un periodo eccessivamente lungo per un amorazzo spensierato - perché questo era destinato a essere la sua relazione con Fred -, sa che per troppo tempo si è sottratta alla superficialità dei contatti sociali e che ora, in un certo senso, ha perso l'ultimo treno. Insomma, è successo quello che non doveva succedere e questa "cosa" con Chéri assomigliava così tanto all'amore da non distinguersene più.
Si accorge - per riprendere la bella espressione di Fabrizio De Andrè - che "faceva l'amore per amore e non per avercelo garantito".
E qui arriva il terribile colpo di genio di Colette. Una banale scrittrice di romanzi rosa avrebbe forse scritto un finale in cui Chéri molla la moglie e torna con Léa, che lo ama davvero. Il coronamento di un idillio. Nonostante la differenza di età. Invece no: dopo un'ultima notte d'amore, Léa si accorge che Fred la guarda in modo strano. Anzi, sembra quasi che eviti di guardarla, pare che distolga gli occhi, assumendo col corpo posizioni innaturali.
Allora su di lei cala come una mannaia l'implacabile verità: si vede riflessa negli occhi di lui e capisce quello che prima aveva intuito solo a sprazzi. Scrive Colette: "In quel naufragio della bellezza, Chéri ritrovava, intatti, il grazioso naso dominatore, le pupille azzurre di un fiore azzurro...", però - dice Chéri - " 'dopo mesi di quella vita io arrivo qui, e...' Si fermò, spaventato da quello che era stato lì lì per dire. 'Tu arrivi qui e trovi una vecchia' disse Léa, con voce flebile e tranquilla".
.
.
Léa sa - d'un tratto - l'atroce verità: lei è una vecchia, non susciterà più desiderio, ma solo spavento, e gli anni dell'amore sono finiti - e sono finiti, quel che è peggio, dopo che lei li ha vissuti senza nemmeno essersi accorta che era amore. Costretta a ricucire il divorzio tra immagine interiore e immagine esteriore.
Colette scrive di Léa: "Una vecchia ansimante ripeté, nello specchio oblungo, il suo gesto e Léa si chiese che cosa potesse avere in comune con quella pazza". Intanto, Chéri se ne è andato e, chiudendo la porta dietro di sé, si è chiuso il passato alle spalle. Dalla finestra, Léa lo osserva camminare in strada e constata: "Camminando, gonfiava d'aria il petto, come un evaso". Non si sarebbe potuto scrivere qualcosa di più crudele - e di più esatto - con altrettanta (apparente) leggerezza e soavità. Colette l'ha fatto.
.
.
Stefen Vizinczey, ELOGIO DELLE DONNE MATURE, Marsilio
In tutti i vostri amori dovreste preferire le donne mature alle giovani...poiché esse conoscono meglio il mondo. Benjamin Franklin
«...Un romanzo affascinante, un trattato d’umanità dotato di tutte le seduzioni dell’umorismo, della leggerezza e della profondità...» LE MONDE
«Erotismo mescolato a profondità e arguzia...questo romanzo si legge con la sensazione di un incessante piacere ormonale» DIARIO 16
"Questo libro si rivolge agli uomini giovani ed è dedicato alle donne mature - dice Stefen Vizinczey - e quello che mi propongo di trattare è il legame fra gli uni e le altre. Non sono un esperto di sesso, ma sono stato un buon allievo delle donne che ho amato, e cercherò di rievocare qui le esperienze felici e infelici che, penso, hanno fatto di me un uomo."
E’ la storia di un ungherese, Andràs Vajda, che fin da ragazzino prova un’attrazione fatale per le donne molto più grandi di lui, mentre le sue coetanee lo lasciano indifferente o, peggio, gli provocano irritazione e frustrazione.
“Tentare di fare l’amore con chi è inesperto quanto lo siamo noi mi sembra altrettanto sensato che avventurarsi in acque profonde senza saper nuotare con una persona che non sa nuotare. Se si ha la fortuna di non annegare, sarà comunque un’esperienza terrificante.”
La sindrome di de Clérambault e altre nella rete Post n°65 pubblicato il 29 Settembre 2010 da teti900 Tag: outing, sindrome di de Clérambault, Sindrome di Pigmalione, stalking
.
.
.
Dopo l'outing del precedente post, segue il secondo di una triade dedicata alle
patologie in rete: la sindrome di de Clérambault. Una sorta di stato delirante connotato dalla convinzione del soggetto che ne è affetto di essere corrisposto in una relazione amorosa appassionata da una persona che non ha mai manifestato un tale interesse.
In questa sindrome il presunto amante è una persona famosa e viene chiamata sindrome di de Clerambault, dallo psichiatra francese De Clerambault (1872–1934), che nel 1921 pubblicò un trattato sull'argomento (Les psychoses passionelles).
Se invece tale sindrome si manifesta tra persone comuni essa è definita erotomania. Tuttavia, ciascuno può ritenere personaggio importante chiunque, dato che ne fa oggetto della propria passione, soprattutto in un tempo - oggi - dove basta poco per apparire anche più famosi di quanto si è in effetti.
Sotto molti aspetti, la sindrome di de Clérambault ha tutte le caratteristiche di un amore romantico. E' instancabile. Non si lascia scoraggiare dalle differenze sociali o culturali. E' un amore trascendente, mistico e voluto dal destino che può superare qualsiasi ostacolo.
Amour fou, l'amore fatale, l'amore che diventa malattia. Una passione che non conosce limiti. Quella, per intendersi, che ha ispirato il regista François Truffaut in Adele H, una storia d'amore (1975) e La signora della porta accanto (1981).
Come afferma lo scrittore McEwan «Nella malattia si capisce meglio anche il comportamento sano» e proprio questo scrittore descrive un caso di sindrome di de Clérambault nel romanzo “L'amore fatale” incentrato sul delirio sentimentale del giovane Jed Parry.
Uscendo dalla letteratura ed entrando a piè pari nella rete, può capitare anzi direi che è frequente incappare nella sindrome di de Clérambault.
Da circa un anno frequento chat e community osservando e registrando i comportamenti e le relazioni tra i chatter sia maschili e sia femminili.
L'aspetto più rilevante è proprio la tendenza a cadere vittime della sindrome di de Clérambault e cioè arrivare in poco tempo a considerare come reale e indispensabile un avatar di cui molto spesso poco si conosce di quello che sta dietro.
Addirittura ho trovato avatar innamorati non corrisposti creati da uno stesso soggetto.
Avatar innamorati non corrisposti da altri avatar distanti due Italia e mezzo, mai incontrati, mai sentiti, disperati, apatici, atonici, affranti perché l'avatar in questione non si collegava da tre giorni o era sparito, o aveva cancellato il profilo. Mica dal sapere che so che fosse coniugato, deforme, ignorante, cafone, non si lavasse i denti, barbone o avanzo di galera!
No quello è secondario, se ha un bel profilo con belle foto e tante frasi accattivanti... si cade preda della sindrome di de Clérambault e, ancora peggio si finisce vittime o artefici nello stalking.
E allora avatar che fuggono, identità da ricreare, sia per non essere perseguitati e sia per perseguitare, comunicando a una ristretta cerchia di fedeli che si è ancora quelli di prima... sì ma prima quali? quando? dove? chi?
E che dire poi della Sindrome di Pigmalione, altimenti conosciuta come Progettualità ?
In questo caso trattasi di una sindrome in cui la persona amata non viene totalmente apprezzata per quello che è, ma per quello che diventerà.
Esiste anche una progettualità da sfida, quella delle persone che cercano di riscattare un alcolizzato, un drogato, un violento, una prostituta...
É detta sindrome di Pigmalione, dal nome dello scultore greco che creò una statua molto bella, Galatea, e non contento della sua bellezza voleva migliorarla ulteriormente ogni volta fino a volerle dare il dono della parola.
Nel 1914 il mito di Pigmalione diede spunto al lavoro di George Bernard Shaw "Pygmalion" da cui fu tratto un film nel '64 My fair Lady con Audrey Hepburn nei panni di una popolana, Eliza Doolittle che, sotto la guida del prof. Higgins, con l'adeguata educazione riesce alla fine a diventare una very milady.
Nella letteratura ci sono tantissimi esempi di questo tipo. Anche Jean-Jacque Rouseau aveva espresso un desiderio simile nel libro Émile, nel quale si impegna ad educare un giovane ragazzo secondo i principi naturali della 'bontà'.
Ma tutto questo è anche nella vita reale direte voi. Grazie lo so.
Quello che non pensavo che potesse accadere era che fosse replicato nella rete in una dimensione e con un trasporto inimmaginabili... e francamente surreali.
altri:
articolo sul tema (26 febbraio 2012)
Valente moto perpetuo
sto esercitandomi al dialogo costruttivo e paziente.
solo musica CLICK
è che ogni tanto seguo LaCosa (tra l'altro la musica è ottima) e ho provato a interloquire nella chat.
ci vogliono polmoni d'acciaio, una pazienza certosina e tanta tolleranza.
tutte cose che mi mancano.
Paganini, che notoriamente 'non ripete', ci sta bene e il suo 'moto perpetuo' pure.
praticamente è tutto uno sbattere ininterrotto di echi tra pensieri in libertà e vaffa liberi, intercalati da evviva al popolo degli adepti.
sul buono, mi astengo, sul coerente stiamo sotto al 20%, il resto è uguale a una qualsiasi comunità virtuale, con le sue sindromi e le sue patologie in più aggravate da un fenomeno molto simile al tifo da stadio che rischia di rompere il giocattolo.
esaltazione bulgara delle mosse degli eletti e discredito a prescindere del resto, chi dissente è aggredito da contestazioni becere e qualunquiste e chi parla usando un linguaggio decente è visto con sospetto e diffidenza.
ora, mi chiedo, a parte i contenuti, se osserviamo la forma, cosa c'è di diverso dal disperdere energie in polemiche sterili rispetto a chi viene accusato di essere capace solo di quello?
alla fine ho trovato un'anima buona all'interno di una discussione sulle dichiarazioni sul presidente della repubblica del loro portavoce al senato che al mio: 'capisco, ma se pensava di avere ragione perché ha chiesto scusa?' ha risposto: 'diplomazia'.
emblematica questa risposta, perché in effetti l'impressione è quella che si usi (come sempre) il metodo dei due pesi, due misure.
ultima considerazione.
pare, dopo un mesetto a seguirli, che una cosa sia acclarata: l'insulto è molto trendy, ma il senso dell'humor è alieno ai pinguini, per non parlare dell'accettazione delle diversità di opinioni, fossero anche solo sfumature vengono rigettate e sommerse di insulti volgari, bellamente ignorate o superate rincorrendo il neo arrivato del momento con deferente rispetto se assiduo e benvoluto oppure, viceversa, con un cordiale vaffa di benvenuto per testarne subito carattere, tenacia e autenticità.
post del 23 marzo 2013