La pratica è l'essenza del pensiero tantrico tibetano e del buddhismo. Ogni insegnamento sottolinea sempre la differenza tra la conoscenza intellettuale e l'integrazione del suo significato nel sè.
Le vie attraverso cui realizzare questa integrazione sono molteplici, nel mio caso specifico procedo in modo sistemico, cioè ricerco e se trovo integro nel già noto ripianificando e risistemando il tutto.
Mi risintonizzo sulla nuova frequenza senza curarmi molto di trattenere a forza qualcosa, cercando di far agire spontaneamente quello che naturalmente si armonizza o prevale.
Senza saperlo pratico la via dei Quattro Prajna: ascoltare, considerare, meditare, capire. In questo senso parlavo di disciplina. Determinate letture mi aiutano a mettere ordine nel processo interiore e spesso a individuare gli squilibri di sistema.
Spesso so dov'è il problema ma non so come attenuarlo o risolverlo, allora applicare dei modelli di indagine e confronto fa sì che i contorni si definiscano e il pensiero si orienti verso pratiche che facilitino il superamento dell'ostacolo, nel momento presente: l'attaccamento.
Leggo che se smetto di cercare di afferrare, "scompare la tensione nevrotica ed emerge lo stato preesistente della mente gioiosamente fresca". Ora non pretendo la gioiosità, ma recuperare una serenità d'animo che è stata turbata da una serie di eventi, quello certo mi farebbe piacere.
Gelosia e possessività sono da sempre i miei talloni d'Achille. Rabbie improvvise che possono sopraggiungere quando una relazione (non necessariamente solo con l'altro sesso) diventa confidenziale.
Allora mi defilo, cerco di evitare di mostrarmi incattivita e a volte gli altri neanche si accorgono o attribuiscono ad altro il mio malumore, e io resto a fare ii conti con questo attaccamento che sembra davvero come una colla che cementifica parti di me con quelle dell'altra persona.
Il che va benissimo se anche l'altra persona è consapevole e desiderosa di vivere questo momentaneo attaccamento.
Il problema nasce quando così non è.
Ciò a cui dovrei riuscire a tendere (non tanto perchè è scritto ma perchè ciò che leggo corrisponde alla cosa più vicina al mio stato attuale di consapevolezza e di realtà soggettiva) è far sì che dispiacere e piacere, vicino e lontano, passione e aggressività, siano sentiti come di un unico sapore, "nello spazio dove le cose sono come veramente sono".
In questa dimensione concreta (perchè relativamente a ciascun soggetto esistono concetti assoluti) può capitare di incontrare i propri demoni e fantasmi, dunque non sto parlando di esperienze new age e di pensiero positivo e altre amenità di questo tipo.
Machig Lapdron, nel corso delle sue pratiche, si trovò assediata da questi demoni, ma invece di averne paura, lei offrì loro il suo corpo, che essi non riuscirono a divorare perchè era senza io.
Il primo demone è detto "demone che blocca i sensi"
Si manifesta ogni volta che vediamo o sentiamo qualcosa con i sensi. La percezione si blocca dal desiderio di possederla.
Il secondo demone è il "demone che non si riesce a controllare"
E' un processo del pensiero che continua ininterrottamente impadronendosi di noi così che la mente vaga da una cosa all'altra e la nostra presenza è completamente distratta.
Il terzo demone e il "demone del piacere"
Che sia un buon cibo, una persona o un sogno restiamo attaccati a quel piacere che diventa ostacolo al mantenimento dello stato di chiarezza.
Il quarto demone e il "demone dell'io"
L'io è ciò con cui condizioniamo il nostro mondo. Poggia sul principio di un sè e di un altro da sè.
L'inconscio, pieno di energia furiosa e di paura di sconfitta, attacca la coscienza che si intromette.
I demoni (proiezione dell'io) possono far del male solo a chi ha qualcosa da difendere e non hanno pertanto la capacità di disturbare chi non ha una zona da difendere (cioè l'io).
Il Vuoto non ha bisogno di appoggio,
La Mahamudra non si appoggia a nulla.
Senza alcuno sforzo,
Ma rimanendo sciolti e naturali
Si può rompere il giogo
Ottenendo la liberazione.
Introduzione e indice
eh ma, fosse facile...
RispondiEliminaGUCHI
RispondiEliminaho appositamente trascurato di dire che la dakini in oggetto, avendo scelto di lasciare tutto (famiglia compresa) e quindi avendo meno ostacoli anche per via del periodo in cui ha vissuto (XII sec), per sconfiggere i demoni ci ha messo 5 anni:(
quindi concordo che forse si fa prima a sparargli o tagliargli le gomme della macchina, se non fosse che sono entità invisibili e immateriali:(
ma siccome la mente è infinita, chissà, magari siamo più brave della yogini e ci riusciamo!