martedì 4 marzo 2014

δίαιτα

Riso, noci, zucche e zucchini arrivano dall'Himalaya, il pomodoro e il mais sono aztechi, il frumento iracheno, fagiolo e fagiolini, patata e peperone del Centro America, la melanzana e il basilico indiani e/o cinesi, l'arancio vietnamita, la mela, l'asparago e nocciolo hanno origini asiatiche, la canna da zucchero è indomalese, banane, manghi, papaye è inutile specificare e così via...
invece, ciò che sicuramente appartiene alla tradizione mediterranea sono: l'ulivo le cui origini si attribuiscono all'isola di Creta, fave, piselli, cavolfiore, verze, cipolle, aglio, il farro ottomano, i ravanelli (che hanno visto la luce all'ombra delle piramidi egizie), il castagno, la barbabietola da zucchero e pere mentre il ciliegio lo diamo per buono, ma le prime piante pur nascendo in Europa, non è detto che si affacciassero sul mediterraneo.

Ci sono voluti millenni prima che le migrazioni di semi e protozoi marini e terrestri raggiungessero il bacino del mare nostrum, entrassero nelle abitudini alimentari delle popolazioni e consolidassero il loro apporto fino a vederne riconosciuti i pregi dai nutrizionisti. Il genovese Lorenzo Piroddi, prima, e poi da un fisiologo americano, Ancel Keys, che di fatto gli scippò la primogenitura del termine dieta mediterranea (patrimonio immateriale unesco dal 2010) e a cui è dedicato l'omonimo museo a Pioppi, nel Cilento dove visse e lavorò per diversi anni alle sue teorie alimentari abbinate allo stile di vita di quel territorio.

Eppure questo movimento di carboidrati, proteine e vitamine è approdato sulle sponde dei vari continenti, dunque il modello alimentare avrebbe potuto formarsi e radicare altrove.
Quale può essere la variabile che ha reso possibile tale sintesi?
La capacità manipolativa, la creatività, l'abitudine alla stretta vicinanza dell'uomo alla terra, la cultura?
Voglio dire, che la pasta al pomodoro la potevano inventare per primi i nativi americani, invece di pensare ai McDonald's.

E' andata diversamente, ne sono lieta.
Peccato che di recente ci sia chi mette in dubbio la salubrità della dieta mediterranea sostenendo che in verità sia nociva o addirittura causa delle patologie che secondo Keys era capace di attenuare e di molte altre.
Quello che trascurano di dire è che il deterioramento degli effetti è dovuto a ragioni connesse all'ambiente, alle fonti di inquinamento, allo stress e alle mutazioni genetiche in atto.
δίαιτα, tradotto dal greco modo di vivere, è un termine che riassume appieno il significato normalmente attribuito alla dieta mediterranea e che oggi più che mai, ma meno di domani, racconta l'immaterialità di concetti che si stanno via via dileguando nel mare di percolato e dissolvendo nelle polveri sottili.
Siamo quel che mangiamo è vero, e sappiamo che Giulio Cesare apprezzava molto il garum, ma dubito che a farne indigestione diventeremmo uguali a lui, così come, anche ammesso che si tornasse indietro nel tempo (all'alimentazione degli antichi romani, caratterizzata dalla prevalenza di cereali e legumi sugli altri alimenti, o al modello alimentare greco-romano dominante che, nel periodo medievale, venne a contatto con quello germanico fondato sulla triade carne-grassi animali-birra, o alla cultura alimentare araba che ripudiava il consumo di vino e di carne di maiale per questioni religiose, ma aveva in comune con le altre soprattutto il consumo di pane e cereali in generale), dubito che ritroveremmo gli standard di salute dei fortunati centenni cilentani del secolo scorso pur imitandone in tutto e per tutto le abitudini.

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