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(...) vecchia (e stanca) bio contadina part time,
considero il blog una finestra come le altre che ho in casa e,
per chi guarda da fuori, una stanza al pari di un'altra.
bella o brutta che sia,
mi soddisfa e tanto mi basta.

domenica 9 ottobre 2011

meglio cambiare discorso o finisce male


volevo scrivere una sestina in versi (di animali) ma poi ho rinunciato all'anteprima introduttiva e deciso di passare subito alla descrizione del "mostro" ideale.
una sorta di recensione del libro a cui ho accennato ieri, composta anzi, liberamente assemblata da Manuale di zoologia fantastica di J. L. Borges e Margarita Guerrero.

In un certo senso assomiglia o potrebbe assomigliare alla statua sensibile di Condillac a cui è conferito un solo senso: l’olfattivo, da cui fa discendere tutta una interessante serie di considerazioni.
Che l’universo stesso sia l’odore del gelsomino, che questa statua attragga solo attraverso il suo profumo e che la memoria permanga attraverso di esso e faccia da elemento di comparazione, e quindi di giudizio, attraverso il ricordo e la percezione che insieme al resto inducano alla riflessione e poi all’immaginazione e cioè alla gamma completa delle facoltà dell’intelletto.
Quelle della volontà (amore e odio, attrazione e repulsione, speranza e timore) sorgeranno dopo.
Unita all’animale ipotetico di Lotze che ha sulla pelle un solo punto sensibile e mobile all’estremità di un’antenna che gli vieta percezioni simultanee.
Una bestia grande, che C.S. Lewis sogna bella e muta che
(non ha latte e quando partorisce lascia che altre creature nutrano i suoi piccoli), canta finchè non viene svezzata e poi si allontana sedotta dal suo stesso canto.
Una specie di Manticora: tre ordini di denti connessi come quelli di un pettine, faccia e orecchie d’uomo, occhi azzurri, corpo cremisi di leone, e coda terminante in aculeo come di scorpione. Corre con somma rapidità ed è amantissimo della carne umana; la sua voce è come un concerto di flauto e di tromba.
Un animo da Cerbero che saluta con la coda quelli che entrano nell’inferno e divora quelli che cercano di uscirne a meno che rechino una focaccia al miele.
Con lo sguardo da Catoblepa ciondolante, con il capo attaccato alle spalle mediante un collo sottile, lungo e floscio come un budello vuoto che se ne sta grosso, melanconico, fosco a sentire il tepore del fango sotto il ventre mentre strappa con la lingua le erbe velenose inumidite dal suo stesso fiato. “Una volta mi sono divorato le zampe senza accorgermene
– racconta il catoblepa – Nessuno m’ha visto negli occhi, o chi li ha visti è morto. Se alzassi le palpebre, queste mie palpebre rosate e gonfie, tu moriresti”
Ovviamente appartiene agli esseri termici di Rudolf Steiner secondo cui l’umanità dell’epoca saturnina fu un cieco e sordo e impalpabile insieme di caldi e di freddi articolati e quindi ogni essere era un organismo fatto di temperature cangianti.
Imparentato con abitanti del nuovo continente, quasi tutti burloni, come Hidebehind che, per quanti giri un uomo faccia, quello gli sta sempre alle spalle e per questo nessuno lo ha mai visto. O il Goofus Bird un uccello che costruisce il nido a rovescio e vola all’indietro perché non gli importa il posto dove va, ma di quello dove stava.
Ha un tatuaggio sulla fronte come un Golan: Emet, che significa verità (per distruggerla si cancella la lettera iniziale perché così rimane la parola met, che significa morto).
Una specie di incrocio dall’inquietudine di un gatto e di un agnello, dice Kafka. A volte salta, s’appoggia con le zampe anteriori a una spalla, avvicina il muso all’orecchio come se parlasse e infatti poi si volta a guardare per osservare l’effetto della sua comunicazione. Allora per compiacerlo bisogna fare come se si fosse capito, muovendo la testa allora lui salta a terra e ballonzola intorno. Forse il coltello del macellaio sarebbe la redenzione
– prosegue Franz –, ma questo animale è una eredità e questa redenzione devo negargliela anche se a volte mi guarda con ragionevoli occhi umani che m’esortano all’atto ragionevole”
Poi ha una proprietà, la stessa di Odradek, l’aspetto di un rocchetto da avvolgerci il filo, appiattito a forma di stella, e anzi sembra davvero rivestito di filo: ma di pezzi di filo tagliati, vecchi, annodati e mischiati, di diverso tipo e colore. Sempre secondo Franz, non è solo un rocchetto e non è rotto. Infatti da nessuna parte si vedono accomodature o rotture; l’insieme appare inservibile, ma a suo modo completo. E’ difficilissimo acchiapparlo, è mobilissimo, può stare in soffitta, nel vestibolo, a volte passano mesi senza che si faccia vedere; forse si trasferisce nelle case vicine. Ma sempre ritorna alla nostra. Tante volte incontrandolo per le scale, viene voglia di rivolgergli la parola: Naturalmente non gli si fanno domande difficili, ma anzi lo si tratta come un bambino. “Come ti chiami?”
“Odradek” dice
“E dove vivi?”
“Domicilio incerto”, dice e ride; ma è una risata senza polmoni; come un fruscio di foglie secche. Di solito il dialogo finisce lì. Né queste risposte si ottengono sempre: a volte se ne sta a lungo in silenzio, come il legno di cui sembra fatto.
Sul dorso, allo stesso modo che Plinio attribuì alla Pantera, ha una macchia rotonda che aumenta o diminuisce con la luna.
Dorme tre notti e quando si sveglia cantando, moltitudini d’uomini e d’animali accorrono alla sua caverna, dai campi, dai castelli e le città attirati dalla fragranza della musica.
Come la Salamandra si crogiola nel fuoco e le comari quando ne dipanano
il bozzolo per tesserlo, per lavare il nettare da queste tele le gettano nel fuoco. Come disse Gomperz, la dottrina esige parità dei quattro elementi. Se c’erano animali della terra, del cielo e dell’acqua, era necessario che anche ci fossero animali del fuoco. Era necessario per la dignità della scienza che ci fossero salamandre.
Ha poi lo strano gusto per l’inchiostro. Un po’ come racconta Wang Ta-Hai della scimmia dell’inchiostro che quando uno scrive si siede con una mano sull’altra e le gambe incrociate, aspetta che quello abbia finito, e si beve il resto dell’inchiostro. Poi torna a sedersi accoccolato e resta tranquillo.
Del suo corno del tutto simile a quello dell’unicorno (se mai qualcuno possa dire di averlo visto) si dice che a spaccarlo in due mostri la figura di un uomo. E sul suo dorso, come fosse uno Zaratàn ci si potrebbe accampare facendo attenzione a non svegliarlo altrimenti potrebbe inabissarsi e affogarci.


(detesto chi scoppiazza in giro facendo proprie cose altrui (anche se di dominio pubblico) e le strumentalizza pro domo sua. quindi per favore, prego la persona che ha questo vizio di ri_guardarsi i cartoni animati e ri_pensarci meglio perchè la sta interpretando in un modo che non la porta da nessuna parte, e in ogni caso, meglio che mi lasci fuori dai suoi scazzi)

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