venerdì 4 novembre 2011

la mente del principiante


Sandhyabhasa ovvero, tradotto dal sanscrito, "la lingua del crepuscolo", attraverso cui si esprime un "diverso modo di conoscere" e cioè una sorta di linguaggio intraducibile utilizzato dalle dakini (in tibetano: khadro, in italiano: "che va nel cielo") ossia la manifestazione più importante del principio femminile nel buddhismo tibetano.

NON sono buddhista, ma da diversi anni mi capita spesso di trovare definizioni di quelle che definisco le mie priorità nel pensiero orientale e in particolare in quello zen, appunto nel buddhismo, oltre che nel feng shui cinese.

La mente del principiante (principiante non nel senso di dilettante quanto di "iniziante") è, diciamo, una guida a questo processo di avvicinamento a saperi esoterici o quanto meno insoliti, una sorta di atteggiamento mentale che fa sì che spesso quando ci si trova allo scuro di una materia o di un argomento se ne riesca a intuire l'essenza ed estrapolarne una qualità, ma anche qualcosa che ha a che fare con la curiosità iniziale "che prende spunto e via" e alla tendenza a interessarsi dei fenomeni intorno e dentro di noi in modo istintivo e nonostante il parere o il giudizio contrario degli altri.
Allo stesso modo, anzi viceversa, quando l'incontro non si conferma vicino o interessante per noi, così come quando si diventa o ci si considera esperti in qualche cosa questa abilità si smorza, diventa ripetizione e noia o sparisce inghiottita dal rumore e da tutto quello che può allontanarci dal nostro centro, dalla nostra ricerca, dalla modalità conoscitiva che ci è propria.

Ho iniziato questo libro piuttosto complesso sulla donna e il principio femminile nel buddhismo tibetano attraverso la vita di sei monache buddhiste e solo la prefazione e l'introduzione sono di ben ottanta pagine su duecentocinquantaquattro.
E' da lì che ho preso spunto per la mente del principiante, la lingua del crepuscolo, le dakini, la verginità e il silenzio. Ora però come procedere in modo ordinato?

E qui torniamo al linguaggio delle dakini, come lo spiegherebbero il bisogno a un certo punto della vita di una donna di fare esperienza di un'esistenza "vergine"?
Intanto non comincerebbero mai col dire "c'era una volta" semmai "c'era a un certo punto" perché siamo all'interno di forme pensiero in cui si sa che tutta la vita è uno scorrere di cicli successivi e ricorrenti.
Per esempio io non l'ho vissuta la condizione di verginità, dato che negli anni '70 si passava dall'infanzia alle orge (semplifico un po', ma serve a far capire) quindi è anche normale che a un certo punto si avverta l'esigenza o la curiosità di fare anche senza (magari perché sei obbligata), oppure perchè entra in gioco il pensiero orientale.
Ogni esperienza ha un suo perché, nasce da qualcosa di profondo che è in noi e che spesso si vorrebbe diverso o semplicemente è tempo che cambi.

E qui si passa al ruolo del silenzio, al ritiro dal mondo, all'isolamento o, detto in altri termini, alla discesa negli inferi e alla riemersione che spesso ha a che vedere con la malattia o che comunque piacevole non è, sebbene sia assolutamente necessaria ma (a mio avviso) da considerarsi sempre momentanea e da accettare quindi con paziente rassegnazione, anche considerando il fatto che vi possa essere un vantaggio o un insegnamento di cui rallegrarsi anche nei momenti bui (facile a dirsi, lo so, tuttavia non è da escludere), insomma alternanza, fluttuazione, complementarietà.

Alcune dakini sono saggezza, altre tentazione, l'alternanza delle une con le altre è il contrario della barriera dualistica che conduce alla continua lotta tra tra lo spazio interno e quello esterno. E' invece  una sorta di gioco sfaccettato. "Alla dakini piace scherzare: gioca d'azzardo con la tua vita", parla attraverso l'esperienza anzichè complicate disquisizioni filosofiche, per questo è in relazione agli insegnamenti tantrici che hanno a che fare direttamente con l'energia del corpo, della voce e della mente piuttosto che con gli insegnamenti sutrici, più intellettuali.

Iniziazione e liberazione sono altri due termini ricorrenti nell'introduzione e posso ben comprendere perché. Il senso da dare non è quello dell'ascesa materiale verso la fama e la fortuna (come si pensa in occidente) ma lo sviluppo dei livelli sottili della persona, il processo per cui l'individuo prende una decisione.

Nel caso specifico delle storie narrate nel libro (ma anche nel mio piccolo soprattutto negli ultimi anni) le decisioni sono guidate dai sogni, da visioni e da intuizioni espresse nel linguaggio delle dakini che assomiglia alla musica delle sfere nell'ora del crepuscolo che nel libro si intende come il momento tra la veglia e il sonno, ma che personalmente associo all'autunno, alla maturità, al romanticismo decadente che ti coglie indipendentemente dall'età anagrafica anzi spesso la cambia tanto da farci sembrare a volte decrepiti e subito dopo come rinati.

Ovviamente il testo parla diffusamente del ruolo maschile all'interno del processo di liberazione della dakini, ma in ultima analisi il buddhismo tantrico tibetano è tra i meno discriminanti e le differenze tra l'uomo e la donna di fatto cessano di esistere proprio in quanto espressione di un dualismo che è più ostacolo che viatico per il raggiungimento degli obiettivi di questa scuola di pensiero.



Indice dei successivi post

Nangsa Obum
Lasciar andare e poi tornare
Apprendimento esperienziale
Machig Lapdron
Lo stato delle cose come sono
Jomo Memo
Analogie tantriche
Machig Ongjo
Non nascita e karma
Drenchen Rema
C'è a questo punto
A-Yu Khadro




2 commenti:

  1. a me succede la stessa cosa, ovvero che leggendo testi orientali riconosco un mio sentire, un mio modo di essere e di pormi rispetto al mondo. naturalmente questo mi fa anche sentire "fuori posto" perchè quelli intorno a me perseguono la fama e la fortuna (e lo dico come semplice dato di fatto, non come lamentela). ci sarebbe molto altro da dire perchè il tuo post offre molti spunti, ma penso che per il momento mi limiterò a riflettervi per conto mio. l'espressione "c'era a un certo punto" la trovo molto azzeccata!

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  2. GUCHI
    allora almeno una persona che leggerà le storie c'è!
    testo molto complesso, l'ho detto, più un saggio che una serie di biografie.
    ma del resto va così, segue un filo logico non è una scelta casuale anche se rinvenuta a caso.
    l'autunno e poi l'inverno sono le stagione più adatte agli approfondimenti, tanto quanto l'estate ai divertimenti, gli svaghi e le zingarate.
    (anche questo è un ragionamento mio, non farci caso)

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