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(...) vecchia (e stanca) bio contadina part time,
considero il blog una finestra come le altre che ho in casa e,
per chi guarda da fuori, una stanza al pari di un'altra.
bella o brutta che sia,
mi soddisfa e tanto mi basta.

mercoledì 28 novembre 2012

E poi

racconta in uno dei migliori modi possibili la vita di un flâneur e dell'ennui che lo affligge.
Entrando in quella dimensione scorre, sebbene lento.
Mi aspettavo qualcosa di diverso, ma va bene anche così.
Sicuramente riproverò con un altro titolo perché se invece mi fermassi qui dovrei dire che quello che più salta all'occhio in questo Natsume Sōseki è l'analogia con chi scrive occhieggiando alla cultura del sol levante, dato il suo riferirsi all'occidente di allora e a quello classico delle civiltà più antiche.
E questo mi è spiaciuto perché trovo più interessante un occidentale che cerca di assomigliare a un orientale del suo contrario, dato che per me gli autori cinesi e giapponesi o coreani sono una evasione dal più noto e abituale.

Daisuke, il protagonista, ha una mente lucidamente critica nei confronti dell'epoca in cui vive agiatamente grazie al contributo paterno (le pagg. 85_86 sono la sintesi della sua fredda disamina delle dinamiche economiche e politiche del Giappone di allora), finché scopre una unica ragione per "attivarsi" in prima persona così che il denaro elargito, invece che guadagnato e sofferto, all'improvviso sia avvertito e definito un veleno (pag. 264) che svaluta il nuovo sè.
Altro tema, conseguente al primo, il lavoro che l'autore sceglie di rendere anch'esso attraverso un dialogo in cui contrappone alle critiche di Hiraoka le contestazioni di Daisuke.
H_"Tu non hai mai dovuto preoccuparti del denaro. Non dovendo guadagnarti da vivere, il lavoro non ti attira. E' perché sei un figlio di papà che puoi permetterti di tenermi discorsi tanto elevati..."
D_"Quando si lavora per mangiare, è difficile fare il proprio lavoro in maniera onesta" gli risponde lapidario, ma l'amico sembra non capirlo o meglio pensava fosse vero il contrario.
H_"si ha veramente voglia di lavorare quando lo si fa per vivere".
D_"Secondo te l'obiettivo qual è? Mangiare o lavorare?"
H_"Mangiare ovviamente!"
D_"Appunto! Se l'obiettivo è mangiare, e il lavoro diventa un mezzo, è evidente che uno conformerà il proprio lavoro affinché mangiare diventi più facile. Di conseguenza non importa a cosa si lavora o in che modo lo si fa, purché si riesca a procurarsi il cibo. Tutto qui. Finché il contenuto o l'orientamento o il metodo di un compito sono limitati da condizioni esterne, questo compito sarà necessariamente corrotto".
Ogni argomento è riportato da Daisuke alla non azione, tanto che anche nelle ultime pagine e nonostante una decisione in fine l'abbia presa, evita di renderla nota per evitare di dispiacere al padre invecchiato e malato anche a causa delle sue inadempienze e tentennamenti.
"Se non si era mai sottomesso alla lettera agli ordini altrui, in compenso non aveva nemmeno cercato di opporsi strenuamente all'opinione di qualcuno". (...) "Ma la sua condotta per lo più non era attribuibile nè all'opportunismo nè all'indecisione, ma piuttosto alla sua flessibilità intellettuale, che gli permetteva di considerare due strade contemporaneamente". (...) "Così, in molte circostanze, si ritrovava spesso fermo nel bel mezzo, incapace sia di avvicinarsi sia di allontanarsi dalla meta". (pagg. 246_247)
Questi, a mio modo di vedere, sono i punti salienti, velati da note d'annunziane e citazioni, che sottraggono invece di arricchire l'atmosfera che ho trovato come sfondo in altre letture di grandi scrittori suoi connazionali con meno smanie di gettare ponti tra culture affacciate su differenti oceani.

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