qualche anno fa mio padre mi disse: "sei stata un'ingenua".
si riferiva a qualcosa di specifico in cui personalmente ritenevo più importanti altri fattori, tuttavia quell'espressione sul momento mi fece pensare e successivamente capitò di ripensarci.
un po' mi indispettiva, un po' mi sembrava vera ma avrei preferito sostituire quell'"ingenua" con un altro termine che però mi sfuggiva e mi sfugge.
l'ingenuità era per me una caratteristica "negativa" che stava a indicare una sorta di debolezza o incapacità, come fosse un difetto che faticavo a riconoscermi.
mai avrei pensato che all'origine dei miei sbagli ci fosse l'ingenuità nè che facesse parte delle mie caratteristiche caratteriali.
eppure quella frase è tornata spesso come qualcosa di inspiegabile e misterioso.
ultimamente ho trovato la chiave per interpretarla.
l'ingenuità è una condizione di incanto e fiducia che è concessa con benevolenza a chi è molto giovane oppure molto anziano.
nel tempo che sta in mezzo a queste due età prende un connotato negativo o quanto meno è usato per definire quanto poco si è capaci di essere smaliziati e quindi in qualche modo risultare come dei babbei.
Gaber la pone in altro senso, ed è pure interessante, ma per me è come ho detto.
l'ho capito quando mi sono sentita pienamente ingenua senza provare alcun senso di inadeguatezza, così com'è appunto solo per i bambini o per i vecchi e siccome non sono una bambina, evidentemente sono consapevolmente vecchia e quindi totalmente indifferente, addirittura esente da attribuzioni malevole di qualcosa che nasce come qualità a cui i furbi attribuiscono, ingenuamente, un significato dispregiativo.
ingenuità come disincanto, solo semplice atteggiamento di interesse, fiducia e vicinanza per quello che c'è di buono, benché occulto o negato.