storia del nulla di sergio givone, me lo hanno regalato perchè ho la fissa del nulla, l'ho buttato.
alla quindicesima pagina avevo già in testa l'idea di cosa debba essere l'emicrania, un po' come quando ho preso in mano G.E.B. da me rinominato un'eterna ghirlanda di cazzate (più di un giudizio è che sintetizzo perchè son smemorata).
scandagliati entrambi con il metodo della lettura veloce senza trovare in questo di givone, alcun chè di nuovo o di utile da integrare, anche per via che, com'è noto, spiegare qualcosa usando il "NON" è un modo che detesto e che ho abbandonato quasi del tutto.
c'era solo il niente, nessuna traccia del nulla, nemmeno scrutando nel bianco tra le righe.
ma dico come si fa a regalare un libro sulla storia del nulla in termini "occidentali" a una che mangia pane imbottito allo zen?
in verità mi sono poi accorta, facendo una ricerca su questo blog, che del nulla in senso proprio ne ho mai parlato, anche se ne accenno spesso e volentieri.
alea fluttuante è forse il post dove traspare un po' di quel che intendo e che si collega poi alla serie sulle donne di saggezza e al capitolo delle città invisibili, ma mentre ci sto a pensare e scartabello indietro mi accorgo che ovunque aleggia questa idea del nulla come guida e filo conduttore.
se c'è un limite in questa piattaforma è quello di inibire la possibilità di ordinare i post viceversa e così per me, che uso il blog per connettere dei temi, diventa scomodo recuperare approssimazioni progressive attraverso cui, quelle sette più o meno due cose che ho appiccicate addosso, evolvono per fasi di successioni, analogie e paradossi.
ripudiate le inutili e vincolanti radici, svuotato il bagaglio che antecede all'attuale posizione, scardinate le resistenze e i patemi verso l'assenza delle risorse, preso atto che la salute sia quel che è, e grazie al fatto che buona parte del prima l'ho scordato, vedo da me che parlare del nulla stia, nel mio caso, unicamente nel mio starci dentro, a mia volta vuota, e pertanto senza riempirlo nè esserne colmata.
che dicono i filosofi del nulla?
niente.
mescolano parole a modo loro, nel caso di quelli occidentali poi, c'è sempre di mezzo un dio, la fede, l'aspirazione a legare il nulla con la santità attraverso sterili sofismi alla gorgia. tutta fuffa.
in oriente è diverso, o quanto meno lo è stato in passato, alle origini.
usano le immagini. è con quelle che pensano ed è evidente quanto questo sia differente dallo spiegarsi ricorrendo alle frasi.
omohitsutsu
nureba ya hito no
mietsuramu
yume to shiriseba
samezaramashi wo
Kokinwakashū, XII:552
mi piacerebbe vederlo in originale questo tanka di Ono no Komachi, invece si dispone solo della traslitterazione che una volta tradotta diventa ancora e ben più lunga del segno che ne traccia il significato.
Ero assorta in pensieri d'amore
quando chiusi gli occhi?
Lui comparve.
Se avessi saputo che era un sogno
non mi sarei svegliata
il nulla è, per me, l'entità del tempo e della dimora, invece del contrario come solitamente si descrive.
è una dimensione privata, soggettiva, quella in cui, se vogliamo e riusciamo, è possibile fluttuare sui margini dei nostri confini e i limiti autoindotti, o siano pure oggettivi, senza avvertire nessun gradino sotto ai piedi benchè scalzi; qualcosa che ci permette di camminare anche senza un saldo terreno su cui poggiarli in un indistinto che è così prodigioso da cogliere che perdere tempo per descriverlo è assurdo anche solo per il fatto che per farlo lo dobbiamo abbandonare.
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