fa sempre aspettare
Speranza e pazienza, da singole o da abbinate, dan sempre lo stesso prodotto: l'attesa.
Più alta è la mira, più complesso è ciò che ti aspetti, più si allunga il tempo fino a sfiorare l'eterno.
Finché l'ansia che, prima o poi, accada qualcosa, distrae l'attesa, si è ancora lontani dal predisporsi a quella infinita.
Che ci si aspetti qualcosa da se stessi o da qualcosa che dipende da fattori esterni da noi, che fare?
Risolvere assumendo la postura di chi siede sul fiume o quella di Estragone e Vladimiro?
Trasformare l'attesa in aspirazione può portare sconforto, ma metti che un giorno ci si riesca?
Che accada finalmente che ciò che ci si aspettava, invece di realizzarsi, diventi qualcosa di autonomo posto oltre il realizzabile.
A quel punto sei libero dall'attesa?
Credo proprio di sì.
E quindi dove va a spegnersi quella soffocante o sottile ansia del domani?
Come investire quel tempo riguadagnato?
C'è una differenza lieve tra smettere di aspettarsi, ad esempio, il meglio (tanto per dirne una) e riuscire a stare sereni senza aspettare qualcosa.
Quel che aspetti arriva oppure no a prescindere dalla tua volontà, quindi che senso ha vivere in funzione della sua presenza?
C'è tutto il resto che vale la pena di essere praticato, fosse anche il far nulla.
Altro discorso è quello degli ingranaggi che l'essere umano ha predisposto per complicarsi la vita, prendi il caso della politica, dove giocare sui tempi d'attesa è appunto un esercizio mirato a esasperare gli animi in funzione della realizzazione di obiettivi appositamente vaghi e mutevoli a seconda del punto di vista di chi ne trae maggior vantaggio, ma lo zen in quel caso è altra materia.
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