momentaneamente: te possino accecà

sabato 9 marzo 2013

te possino accecà

(due volte per occhio)

sono preoccupata

dopo tanti anni di maledizioni

l'uveite?

leggo su 'malattia come simbolo' di rüdiger dahlke

che le malattie agli occhi hanno a che fare

con la testa dello struzzo nella sabbia

e con il concetto dell'io non li vedo, loro non mi vedono.

da qui la formula

'te possino accecà, due volte per occhio'?

'a bellooo' (si fa per dire) ma sai quanti scambierebbero

il mal d'occhi per una pasta al sugo?

niente da fare, ce lo dobbiamo tenere e sopportare perché

i politici lo 'coprono',

ma attenzione, perché ce n'è stato un altro

che settant'anni fa giusti giusti

ha iniziato ad avere problemi

e due anni dopo è finito com'è finito.

11 commenti:

Anonimo9 marzo 2013 alle ore 11:08
Povero!
Bisogna avere rispetto per le malattie altrui. ;)
Paola
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Anonimo9 marzo 2013 alle ore 11:22
Io sono seriamente preoccupata per la nuova fidanzata del tizio...che fine farà dopo? Tornerà a casa da mammà come tutti i "bamboccioni" italiani?
Mannaggia.
Paola

Ps. ho visto il video di Diego Bianchi in versione "Zoro" ne "Analisi di una non vittoria". Strepitoso e non solo per le facce che fa!
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teti9009 marzo 2013 alle ore 14:14
e dire che se fossi impiegata come infermiera, gliela farei io una punturina miracolosa!
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Pier9 marzo 2013 alle ore 14:28
occhio per occhio insomma
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Anonimo12 marzo 2013 alle ore 22:16
A proposito di uveite...Crozza stasera è stato strepitoso! Della serie "Non ci resta che piangere". :(
Paola
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silenziosamente

La società contemporanea teme il silenzio, sente la necessità di coprirlo, annullarlo, negarlo creando città rumorose, luoghi di ritrovo frastornanti, momenti di solitudine anch’essi fitti di suoni (il cellulare che squilla, la musica dell’iPod nelle orecchie...).

Forse perché spesso silenzio diventa sinonimo di solitudine, isolamento, vertigine di vuoto. Eppure una lunga tradizione, che affonda le sue radici in un tempo lontano, dice che è ricchezza e non mancanza, pienezza anziché vuoto, gioia piuttosto che tristezza, nascita invece di morte.

Oppure accidia (ovvero: indolenza, inerzia, negligenza, tedio, ansietà del cuore) una forma di torpore o, secondo la traduzione della parola greca da cui origina, uno stato di noncuranza (a=non e kedos=cura), una mancanza di affezione, un senso opprimente di vacuità accompagnato da una strana noia irrequieta e insoddisfatta che prende di mira in particolar modo le persone solitarie e le assale specialmente nelle ore del mezzogiorno… continua a leggere

Henry Miller su Anais Nin

Sei così pronta, così intelligente.
Ma non mi fido della tua intelligenza.
Tu crei uno schema meraviglioso, tutto è al suo posto, e sembra chiaro in un modo assolutamente convincente, troppo chiaro.
E intanto, dove sei tu?
Non sulla chiara superficie delle tue idee, no, tu ti sei già tuffata più a fondo, in regioni più oscure, così uno pensa che tu gli abbia dato tutti i tuoi pensieri, ma lo immagina soltanto che tu ti sia svuotata in quella chiarezza.
Invece ci sono strati e strati - sei senza fondo, insondabile.
La tua chiarezza è ingannevole.
Sei la pensatrice che suscita in me più dubbi, più confusione, più turbamento.

epicuro

La carne non ammette limiti nel piacere, e il tempo che serve a procurarle tale piacere è anch'esso senza limiti. Ma il pensiero che ha appreso a ragionare intorno al fine e al limite di ciò ch'è pertinente alla carne, e che ha soppresso il timore dell'eternità, ci rende possibile una vita perfetta, per cui non sentiamo più l'esigenza di un tempo infinito: esso non rifugge dal piacere ne, quando le circostanze ci portano al momento di uscire dalla vita, può dire di andarsene avendo tralasciato qualcosa di ciò che rende questa ottima.