"la scrittura ha i suoi trucchi, come la moda"
"C’è una moda nelle parole, nei sentimenti, nel piangere, nel ridere, nel morire, in tutto. Bisogna avere la pazienza d’imparare queste mode, come si imparano le lingue forestiere. E allora, a poco a poco, ti succede che dappertutto trovi l’uomo e il compagno, come riesci a discorrere col cinese e col turco".
Cesare Pavese
e quando passa, la moda?
per esempio "comunismo" ormai relegato solo ai libri di storia.
si può dire che, una volta venuto a mancare Fidel Castro, finirà del tutto di esistere ogni riferimento attuale all'uso del termine.
lo stesso vale per 'compagno' (comunista), fatico a trovare un esponente politico o di qualsiasi genere a cui affibbiare i significati attribuiti in un tempo anche relativamente recente.
un po' si legge, in questo Pavese, l'influenza di una moda 'americana'. soprattutto nella prima parte del libro dove "C'è una tensione superiore al normale, folle, dovuta alla cadenza sdrucciola delle frasi. Uno slancio continuamente bloccato. Un ansare".
sembra come se Pablo fuggisse continuamente da un contesto 'borghese' descritto come noioso, stanco e vanesio, oppure fosse l'autore che cercasse, senza trovare, 'un modo alla moda', di tendenza, come lo raccontavano gli americani di quel tempo, che ben conosceva, quel tormento esistenziale da sposare a una causa civile e politica qual era quella del periodo a cavallo tra fascismo e post fascismo.
un po' mi ha ricordato 'Il sentiero dei nidi di ragno' per quel parlare di partigiani e comunisti senza retorica, raccontandone le debolezze, le incertezze, le paure, gli sbagli.
Calvino scorre meglio, ne 'Il compagno', invece, molti rimproverano a Pavese di aver tradito le attese, di muoversi male su quei temi, di far trasparire troppo il distacco della sua mente intellettuale dalla sua passione politica.
forse è vero perché la vicenda di Pablo si snocciola e risolve ottimamente dal punto di vista dei contenuti connessi alla sua crescita emotiva ed umana, ma potrebbe far a meno della cornice scelta perché quella resta in qualche modo sospesa.
Pavese stesso, nel '45, sull'Unità definiva così il suo concetto di 'andata al popolo': "Il discorso è questo, che noi non andremo verso il popolo. Perché già siamo popolo e tutto il resto è inesistente. Andremo se mai verso l'uomo. Perché questo è l'ostacolo, la crosta da rompere: la solitudine dell'uomo — di noi e degli altri. La nuova leggenda, il nuovo stile sta tutto qui. E, con questo, la nostra felicità".
ed è poi in fondo questo a cui penso in questi giorni.
a qualcosa né pienamente compreso, né compiutamente praticato e che è ormai praticamente estinto e sradicato anche dal cuore dei più nostalgici che prima o poi si vedranno costretti a rinunciare a una rappresentanza o ad affidarla ai 'don' peppone di turno.
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