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(...) vecchia (e stanca) bio contadina part time,
considero il blog una finestra come le altre che ho in casa e,
per chi guarda da fuori, una stanza al pari di un'altra.
bella o brutta che sia,
mi soddisfa e tanto mi basta.

sabato 16 novembre 2013

Seguire le tracce

Ed ecco che scendendo probabilmente dal cielo - o forse dalle profondità della terra, accanto a quel corpo supino Carlo vide venire due esseri, di una natura che non è certamente umana; ma appare tuttavia naturale, inserendosi nella logica della Visione: Si mettono uno di qua e uno di là del Corpo, coi piedi all’altezza della sua testa, e cominciano a parlare. Benché anche il loro linguaggio non sia umano, Carlo lo capisce: non solo, ma la lingua umana con cui esso è percepito da Carlo, è una lingua meravigliosa. Ogni sua parola ha infatti una chiarezza rivelatrice: così che il capire, non è soltanto capire, ma è anche la gioiosa cognizione del capire. Si direbbe insomma che quei personaggi parlino in versi o in musica.
Certo, è effetto del sogno visionario, perché, riportati al di fuori del suo contesto, quei loro discorsi rivelavano la loro natura priva di mistero che la cultura di Carlo poteva fornir loro, e si riducevano a uno scambio di opinioni, a un battibecco ideologico abbastanza corrente (come del resto il lettore vedrà).
Il primo dei due disputanti aveva un aspetto angelico, e Carlo sapeva interiormente che il suo nome era Polis; il secondo, invece, aveva un povero aspetto infernale, di miserabile; e il suo nome era Tetis.
Era Polis, che aveva cominciato a parlare: “Questo corpo è mio, mi appartiene. Esso è il corpo di un buono, di un obbediente...”.
“Sì, ma il Peso che ha dentro, invece, è mio...” ribatteva Tetis. Polis lo guardava sorridendo, coi suoi occhi celesti, sicuro di sé. Ricominciò a parlare con pazienza: “Se questo è il Corpo di un uomo che ha amato nei giusti limiti la madre, e contro il padre ha lottato, sì, ma come doveva, sapendo ben distinguere dentro di sé, le proprie colpe dalle sue – questo Corpo è mio”.
“Va bene” ribattè ostinato il diavolo “ma il Peso che è dentro di lui è mio...”
Non per niente Polis era angelico; perciò non perse il suo atteggiamento non-violento e didascalico, intonando, nel registro il cui incanto può essere percepito solo nei sogni, la sua nuova argomentazione: “Se questo è il Corpo di un uomo che ha criticato il mondo a cui è nato con lo scopo di migliorarlo, e non ha fatto della sua distruzione l’alibi per poter viverci con maggio merito – questo corpo è mio!”.
“Giustissimo – fece Tetis – ma il Peso che ha dentro è mio...”
Un’ombra cominciò a scendere sul viso di Polis; “Cerca di renderti conto – disse – che il Bene che l’uomo di questo Corpo ha perseguito non è stato un Bene formale, perché egli l’ha vissuto nel suo esistere, rendendolo reale. Perciò questo Corpo è mio!”
“Non credo che possa essere tuo – rispose Tetis – questo involucro, se il Peso che esso contiene è mio.”
“Questo Corpo è quello di un uomo che non ha riprodotto il padre per incosciente obbedienza, ma l’ha riprodotto attraverso la tragedia per cui il padre stesso aveva riprodotto a sua volta il suo, cioè nella sua condizione eterna di figlio: perciò questo Corpo è mio”.
“No, perché il Peso che c’è dentro è mio” insistette Tetis, duro, perduto in una ostinata convinzione, che aveva l’aria di non poter cedere di fronte a nulla al mondo.
Polis sta per un po’ in silenzio, guardando a terra. Pensa certo che potrebbe dire altre mille frasi come quelle che ha detto; ma poiché sono tutte analoghe, come i grani di un rosario, nessuna di esse potrebbe ottenere effetti diversi da quelle già profferite. E’ santo, questo Polis, perciò è disposto non solo a dialogare – con un essere tanto diverso da lui – ma anche a collaborare di fatto: non ci si può comprendere a parole. L’unica dimostrazione di buona volontà reale è l’azione comune: anche e tanto più, se scandalosa. “Bene” dice alla fine Polis venendo a patti con l’Inconciliabile “allora che cosa vuoi fare?”
Tetis ch'è certo ancora più pragmatico, come colui che vuole il male, e si accontenta del male che può fare subito - perché c'è sempre molto tempo per farne dell'altro - risponde senza esitazione: "Tu prenditi ciò che è tuo, e io mi prendo ciò che è mio". "Cioé?" s'informò, comprensivo l'angelo. "Tu" risponde il diavolo "ti prendi il tuo Corpo. E io mi prendo l'altro Corpo che c'è dentro".
La proposta del diavolo è ragionevole! Polis lo guarda come affascinato. Tace e lo guarda. E mentre tace e lo guarda un sorriso sale dal suo profondo, lentamente, come un cielo su cui il vento spazza via le nubi, e pian piano lo rende perfettamente sereno e luminoso: finché il sorriso, suscitato dalla proposta del diavolo, ma, forse giustificato da calcoli più profondi, si tramutò in parola: "Accetto" disse Polis "prenditi l'altro Corpo".
Tetis non se lo fa ripetere due volte: tira fuori dalle sue sordide saccocce un coltello, ne infila la punta nel ventre del corpo di Carlo e vi fa un lungo taglio. Poi con le mani lo apre, e, da dentro le viscere ne estrae un feto. Con una mano, passandola sulle labbra sanguinose del taglio, medica e cicatrizza la ferita; con l'altra alza il feto al cielo, come una levatrice felice della sua opera.
Il feto cresce immediatamente a vista d'occhio. E, con enorme stupore, man mano che cresce, Carlo lo riconosce: è lui stesso bambino, poi ragazzo, poi giovane, poi trentenne così com'è adesso, un uomo dall'aria colta e preparata, pronto per la vita.
Come il feto è divenuto adulto, e sta in piedi sul terrazzino, accanto al suo patrono, Carlo vede che anche il corpo disteso per terra, privo di sensi, si ricomincia, come una puerpera, a rianimare. Lo vede aprire lentamente gli occhi, guardarsi intorno smarrito; rimettersi gli occhiali, e, puntando la mano a terra, rialzarsi, finché è dritto, in piedi, accanto a Polis: colui al quale (pare) appartiene.
Colui che in cambio della sua venerazione l'avrebbe protetto. Il Carlo di Tetis e il Carlo di Polis sono identici. E infatti si identificano. Fanno un breve passo uno verso l'altro, come per scrutarsi meglio. E Carlo li vede di profilo, immobili, come Cristo e Giuda nel quadro di Giotto: sono così vicini che il loro è il gesto che fanno due persone quando stanno per darsi un bacio. E intanto si fissano così attentamente che i loro occhi paiono impietriti. Un sentimento oscuro è nel fondo di quello sguardo, che li unisce strettamente, come legandoli in un'unica tensione che li spinge l'uno verso l'altro.
Mentre Carlo osserva quello sguardo di chi indovina e tace, e non sa staccarsi da ciò a cui è dovuta la rivelazione - prevedendo, nel tempo stesso, tutta la lunga catena di atti futuri che quel riconoscimento contiene - non si accorge che l'angelo e il diavolo si sono allontanati. Fa appena in tempo a vedere che scompaiono, conversando amichevolmente e tenendosi sottobraccio come due vecchi amici che condividono la vita.


Da: Petrolio, Appunto 3, Introduzione del tema metafisico.



Ho sempre creduta vera la teoria secondo la quale trascrivere o ricopiare un testo altrui favorisca la comprensione del pensiero che vi è contenuto e l'immedesimazione con l'autore.
Dunque nell'accostarmi a quest'opera mastodontica sono incerta se limitarmi a leggerla oppure a trascriverla così come ho fatto per queste due pagine iniziali.
Forse farò l'una e l'altra cosa... Ma di una cosa sono certa: che mai potrei dirne o recensirne i soggetti (il testo e/o l'autore).


Essendo ben conscia dei miei limiti, mi accontenterei di riuscire a cogliere al massimo il senso della sua visione e trarne il maggior beneficio per lo spirito e la mente lungo tutto l'arco di tempo in cui il libro mi terrà impegnata.

4 commenti:

  1. bhe teoria ... non servono forse a questo gli appunti che si prendono quando si studia?
    poi me li passi vero? ricordo che ci preparai un esame studiando solo sulle sottolineature e gli appunti di altri...

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    1. No?
      vabbè fa niente .. tanto hai la calligrafia di un medico

      Ps disse la volpe dell'uva ... :D

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    2. ero uno scrupolo... mi sa che a seguirmi ti porterei a perdere...

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