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(...) vecchia (e stanca) bio contadina part time,
considero il blog una finestra come le altre che ho in casa e,
per chi guarda da fuori, una stanza al pari di un'altra.
bella o brutta che sia,
mi soddisfa e tanto mi basta.

giovedì 2 dicembre 2010

Nobiltà senza lavoro

Il lavoro, l'attività umana che dovrebbe essere un diritto e non lo è più, l'ho avviato alla fine degli anni settanta del secolo scorso dunque più o meno trentacinque anni fa, prima ancora di finire il liceo che avevo scelto pensando di diventare insegnate di educazione artistica, cosa che per una serie di motivi non è stata.

L'estro, la creatività e le arti figurative, pittoriche in special modo, sono state il mio linguaggio preferito per diversi anni e a tratti hanno continuato a esserlo fino ad ora, anche se la scrittura ha avuto ed ha tutt'ora una parte rilevantissima nell'attività professionale come nella vita e molto spesso anche nell'amore.


Quello che la mia aquila interiore aveva desiderato vedere, tanto desiderato da esserne convinta, era uno sfaccendare instancabile, insistente, famelico e assatanato per arrivare intorno ai cinquant'anni a tirare i remi in barca e dedicarmi alle passioni che l'impegno e i doveri famigliari mi sembrava precludessero o quanto meno rendessero impraticabile l'abbinamento dovere e piacere.


Una vita di corsa per gli impegni e per quella sensazione assillante che il tempo fosse prossimo a finire se non già finito, e chi ha avuto grossi guai alla salute ed è stato in pericolo di morte sa benissimo di cosa sto parlando.

Un figlio nato da un padre ignorante e una madre snaturata, da crescere in perfetta solitudine e scarsa solidarietà famigliare, scarsa, no assente è più proprio.


Disumana, forse snaturata è stata la vita che ho vissuto e intanto l'aquila vagava ruotando, in picchiata, a volte in coppia, garrendo uno all'altra per far sapere a tutto il mondo che sono una coppia e non due animali che volano liberi, soli, indifferenti di predare un amore che sanno di aver e per sempre già trovato.



Dunque la certezza che tanto vagare e lavorare con lena e impegno indefessi portasse un futuro sicuro se solo la salute avesse consentito di averlo quel futuro e invece una volta prossima alla soglia dei 50 non ci sono remi da tirare in barca, anzi, non c'è neanche la barca e nemmeno il porto.


Una mareggiata ha portato via tutto che fosse illusione oppure realtà.

Resta la luce bianca accecante che riempie gli occhi e non voglio vedere o vorrei riuscire a oltrepassare in barca o anche a piedi non farebbe differenza e invece non finisce mai tanto che credere in qualcosa è ancora più illusione e ancora più cecità.

Il vuoto incrostato di rottami verniciati di calcio fumante per igienizzarne le pareti crepate e sfaldate per dividere, separare, distinguere il niente dal nulla.


Guardo per aria, anche l'aquila non sa che guardare, si perde nell'alone di luce, ma lei entra ed esce, penetra e sorvola, aggira e scarta, gioca e aggredisce, si nasconde e riappare incurante che il suo sia un lavoro o semplicemente una vita.


E allora io, che invece di piume, ho la pelle avvizzita e le protesi alle ali, una vista che definire carente è generoso, senza gusto nè odorato, con l'energia fisica di un bradipo e quella mentale che va sempre a mille, resto ferma per andare e volare dove voglio, con chi voglio, quando voglio, per quanto mi pare.


Trasformo il mio diritto al lavoro, perduto, in lavoro costante, continuo, testone e cocciuto di un senso da dare al resto del tempo che resta, che ho e che è stato.



Apro una nuova latta di giallo, di rosso, di blu e stendo pellicole colorate che poi copro di grigio e poi di bianco per assomigliare alla luce che abbaglia i sogni e il domani lasciando a chi verrà dopo leggere cosa questo fare nascosto vuol dire e se era il meglio o il peggio, per me non fa alcuna differenza, questo è.


Corsi e ricorsi, indice dei precedenti capitoli (CLICK)

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