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(...) vecchia (e stanca) bio contadina part time,
considero il blog una finestra come le altre che ho in casa e,
per chi guarda da fuori, una stanza al pari di un'altra.
bella o brutta che sia,
mi soddisfa e tanto mi basta.

sabato 7 dicembre 2019

bugie a metà

conto i passi 
misuro le parole
splendo speranze

che conto i passi è assolutamente vero, anche se l'ultimo è sempre quello in più di quello in cui sarebbe stato meglio fermarsi e uno in meno di quello che era stato ultimo ieri.
misurare le parole già è più complicato perché ancora sfuggono e con quelle l'ultimo fiato che infatti viene poi a mancare e mi fa sostare per aspettare che arrivi il successivo.
ma splendere speranze è davvero una bugia, una licenza dovuta alle regole dell'haiku che vuole una chiusura felice, sempre e in più avevo già trasgredito eludendo il richiamo stagionale, anch'esso imposto.
sarei stata sincera se avessi scritto: ho ucciso la speranza, ma erano più di cinque sillabe... dunque poteva diventare: morte speranze, ma suona come casualità.
la verità vera è che invece ho davvero ammazzato la speranza, quel poco che restava.
è bastato un piccolo colpo per finirla e niente è cambiato, né in meglio e né in peggio.
avrei potuto usare l'espressione: posso vivere benissimo anche senza, ma avrei di nuovo mentito, due volte.
vivere e benissimo, sia insieme e sia a se stanti, sono la meno credibile e realistica definizione del nulla che mi abita dentro e intorno.
le settimane e i mesi trascorrono come attendessi il giorno del giudizio universale.
ho fatto quattro passi con mia madre, prossima ai novantadue anni, e a metà strada prima le ho chiesto di rallentare e poi mi son fermata a boccheggiare.
che stia andando a dormire o mi stia alzando da letto, sono stanca allo stesso modo.
farsi una doccia prima di uscire no, perché dopo venti minuti devo stendermi e dormire una mezz'ora, ma dipende, posso arrivare anche a due.
se fino a un anno fa potevo andare in città, in mattinata, starci qualche ora e tornare nel primo pomeriggio, adesso arrivo in città che sono già cotta per tornare indietro.
un chilo d'arance, mezzo chilo pesce o carne, sei uova, un pane, un pezzo di formaggio e mezzo chilo di zucchero pesano come due cestelli di acqua da un litro e mezzo e sui mezzi pubblici barcollo come avessi cent'anni anche se biologicamente è come ne avessi solo sessantanove e cioè più o meno sette più di quelli anagrafici.
eppure l'estate scorsa ero riuscita a occuparmi della nipotina.
sapevo benissimo che stavo esagerando, ma la motivazione era forte e con un po' di allenamento, mi dicevo, avrei recuperato, invece ho preso sta culata per terra da cui non c'è verso di riprendermi e adesso l'unico passatempo che resta è l'addestramento pre mortem senza speranza che arrivi presto.
un po' perché avendola uccisa (la speranza) ora è impossibile evocarla, e un po' perché si sa che quando aspetti qualcosa di solito non arriva.
questa è la storia, messa in terza persona potrebbe servire da spunto per un racconto esistenzialista.
detta così è una bugia a metà e per l'altra parte una tristezza sconsolante, tanto che mi sa che in questo tragitto di eutanasia a spizzichi e bocconi, la prossima che uccido è la compassione.

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