conto i passi
misuro le parole
splendo speranze
che conto i passi è assolutamente vero, anche se l'ultimo è sempre quello in più di quello in cui sarebbe stato meglio fermarsi e uno in meno di quello che era stato ultimo ieri.
misurare le parole già è più complicato perché ancora sfuggono e con quelle l'ultimo fiato che infatti viene poi a mancare e mi fa sostare per aspettare che arrivi il successivo.
ma splendere speranze è davvero una bugia, una licenza dovuta alle regole dell'haiku che vuole una chiusura felice, sempre e in più avevo già trasgredito eludendo il richiamo stagionale, anch'esso imposto.
sarei stata sincera se avessi scritto: ho ucciso la speranza, ma erano più di cinque sillabe... dunque poteva diventare: morte speranze, ma suona come casualità.
la verità vera è che invece ho davvero ammazzato la speranza, quel poco che restava.
è bastato un piccolo colpo per finirla e niente è cambiato, né in meglio e né in peggio.
avrei potuto usare l'espressione: posso vivere benissimo anche senza, ma avrei di nuovo mentito, due volte.
vivere e benissimo, sia insieme e sia a se stanti, sono la meno credibile e realistica definizione del nulla che mi abita dentro e intorno.
le settimane e i mesi trascorrono come attendessi il giorno del giudizio universale.
ho fatto quattro passi con mia madre, prossima ai novantadue anni, e a metà strada prima le ho chiesto di rallentare e poi mi son fermata a boccheggiare.
che stia andando a dormire o mi stia alzando da letto, sono stanca allo stesso modo.
farsi una doccia prima di uscire no, perché dopo venti minuti devo stendermi e dormire una mezz'ora, ma dipende, posso arrivare anche a due.
se fino a un anno fa potevo andare in città, in mattinata, starci qualche ora e tornare nel primo pomeriggio, adesso arrivo in città che sono già cotta per tornare indietro.
un chilo d'arance, mezzo chilo pesce o carne, sei uova, un pane, un pezzo di formaggio e mezzo chilo di zucchero pesano come due cestelli di acqua da un litro e mezzo e sui mezzi pubblici barcollo come avessi cent'anni anche se biologicamente è come ne avessi solo sessantanove e cioè più o meno sette più di quelli anagrafici.
eppure l'estate scorsa ero riuscita a occuparmi della nipotina.
sapevo benissimo che stavo esagerando, ma la motivazione era forte e con un po' di allenamento, mi dicevo, avrei recuperato, invece ho preso sta culata per terra da cui non c'è verso di riprendermi e adesso l'unico passatempo che resta è l'addestramento pre mortem senza speranza che arrivi presto.
un po' perché avendola uccisa (la speranza) ora è impossibile evocarla, e un po' perché si sa che quando aspetti qualcosa di solito non arriva.
questa è la storia, messa in terza persona potrebbe servire da spunto per un racconto esistenzialista.
detta così è una bugia a metà e per l'altra parte una tristezza sconsolante, tanto che mi sa che in questo tragitto di eutanasia a spizzichi e bocconi, la prossima che uccido è la compassione.
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